OCTOBER 2013 SAN MARTINO DEL LAGO SUPERDRIFT
PHOTO BY DIEGO CROTTI
Copyright (C) Diego Crotti
L’arte di derapare
Tazio Nuvolari gradirebbe. Così pure Gilles Villeneuve e tutti i gran manici del passato, piloti di pista e rallisti, che con la “guida sporca” sono andati a nozze facendo spallucce al cronometro per la gioia dei loro fan. Di traverso, sempre. Il Drifting, questa parola anglosassone che letteralmente significa "andare alla deriva", esprime un nuovo modo di intendere lo sport dell'automobile: non più legato alla velocità e alle prestazioni cronometriche, ma al puro controllo del mezzo in sbandata da parte del concorrente e al giudizio di una giuria preposta.
Nato in Giappone una ventina d’anni fa, recentemente elevato dagli americani a status di show-motoristico, il Drifting altro non è che un'esibizione automobilistica di "freestyle" eseguita su piste o piazzali dedicati sui quali si utilizzano o si realizzano una o più curve eseguite dai partecipanti esclusivamente di traverso.
Curve disegnate per mettere in risalto le capacità dei piloti, che la regola vuole si sfidino due alla volta e uno nella scia dell’altro in un tabellone eliminatorio che vede in lizza 16 piloti. I criteri di valutazione della giuria, composta da due o più esperti del settore (piloti e istruttori di Drifting), si fondano su una serie di parametri quali la velocità d’ingresso in curva, l’inizio e l’angolo di sbandata, la traiettoria, la fluidità e la fumosità emessa dai pneumatici posteriori; pneumatici che devono essere stradali e non racing, dunque, con caratteristiche adatte a enfatizzare lo slittamento e le cortine fumogene emesse dalle vetture in drift.
Il Drifting è in altre parole l’automobilismo vissuto in chiave spettacolo, violando in un solo colpo e nella maniera più spregiudicata tutte le leggi della fisica. Non solo. Vivendo al posto di guida un feeling indescrivibile a metà tra il panico e l’eccitazione che si trasmette come un contagio a coloro che da fuori assistono allo show.
Come detto, il verbo si sta divulgando su scala planetaria. Il via l’hanno dato i giapponesi che, convinti di possedere la ricetta e la materia prima per farlo ad alto livello, ossia, i loro piloti allenati ai traversi per più di venti anni, nel 2003 hanno mostrato il “giochino” agli americani. Non pensando però che gli yankee di lì a poco avrebbero dato vita ad un loro campionato, il Formula Drift, che ha in breve reso maturi un lotto di cinquanta piloti esaltando il contenuto scenico della disciplina resa economicamente accessibile a chiunque abbia una certa sensibilità e familiarità con i traversi. Diversamente da quanto avviene in Giappone dove team e drifters sono costretti a investire budget faraonici per conquistare un posto al sole tra i Top 16 della serie D1-GP.
Alla fine la ricetta vincente è risultata quella statunitense, meglio divulgata via etere e presa come punto di riferimento dai principali organizzatori europei, in Irlanda, Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania e Italia. Ma soprattutto il merito degli americani è stato quello di smitizzare il talento supremo dei piloti del D1-GP (fatto accaduto nel 2005 a Irwindale quando un drifter del Maryland ha battuto i santoni del sol levante) dimostrando che in questo sport fenomeni non sempre si nasce ma spesso si diventa, con tanto allenamento e qualche buon consiglio pratico ricevuto da chi di traverso ci va già o da chi accademicamente l’arte di derapare la insegna.
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